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ITALIANI 1860.............1915

  

Il cambiamento tra Borboni ed i Savoia non portò alcuna novità ai contadini “Brattiroisi”. Quello che era “U GNURI” nel regime borbonico tale rimase con il regno d’Italia. Povertà e miseria erano compagne di vita e di morte per i nostri avi.

In modo lento in questo periodo ci furono avvenimenti che determinarono molti cambiamenti e gettarono le basi per la nascita del paese che conosciamo. 

Il cambiamento che avviò questo processo fu l’incremento progressivo della popolazione. L’impennata delle nascite  portò nell’arco di un ventennio al raddoppio della popolazione.

Questo fatto fece si che lo sbocco lavorativo, che fino ad allora era stato dato dalla piana di Gioia Tauro (vedi Borboni II° periodo) e dai feudi sul Poro, non bastò a soddisfare la crescente manodopera.

Le possibilità di lavoro offerte dal nuovo continente iniziarono intorno al 1870. I primi giovani partirono per gli Stati Uniti ed il Brasile tra il 1870 ed il 1880. Cominciò così la prima emigrazione verso le Americhe con un flusso lento ma inarrestabile.

Dopo i giovani partirono i padri di famiglia. La maggior parte di essi andavano per 3-5 anni, poi ritornavano il tempo di mettere incinte le mogli e ripartivano al duro lavoro. Erano uomini abituati alle fatiche estreme, furono impiegati prevalentemente nelle miniere di carbone in USA e nella deforestazione e coltivazione del caffè in Brasile. Lasciavano a casa le donne per le quali non si trovano parole per poter descriverne i sacrifici. Esse erano madri e padri nel crescere la numerosa prole, lavoravano la terra aspettando il ritorno dei mariti. Talvolta alcuni padri abbandonarono la propria famiglia creandosene una seconda in Brasile.

Questo tipo di emigrazione portò in Brattirò un flusso di danaro con il quale i Brattiroesi comprarono le terre dai signori di Tropea riuscendo così a sopperire ai bisogni sempre crescenti .

Riportiamo come esempio delle notizie fornite da Rombolà Girolamo “di Camina” egli stesso emigrante, sperando che in un prossimo futuro si possa creare un archivio con tutte le notizie che riguardano i nostri emigrati. Gregorio Rombolà, nato in Brattirò il 21\07\1873, all’età di 15 anni emigrò in Brasile. Viaggiò in compagnia di Domenico Rombolà chiamato “Zu Micu a Cicca”. In Brasile si dedicò all’agricoltura, coltivando caffè. Sposò Virginia Da Silva di origine portoghese ed ebbero 13 figli (vedi foto 1 del 1926) (vedi foto 2 del 1938).

Il popolo di Brattirò intorno al 1870, forse perché aumentati di numero forse per quel sano orgoglio presente da sempre, decise di costruire una nuova chiesa quella matrice che noi conosciamo. I vecchi narrano che con tenacia e spirito di sacrificio,tutta la popolazione partecipò fattivamente. Le donne tutte le mattine, allo spuntar del sole, si recavano chi alla fiumara chi alle cave di pietra ed ogni giorno portavano il loro carico sulla testa. Gli uomini alternandosi lavorarono a turni di cinque giornate mensili ciascuno. Tutto questo durò per ben cinque anni fino alla conclusione dell’opera. Unità, senso di appartenenza, comunità, solidarietà, orgoglio, questi i valori che hanno caratterizzato i nostri avi. Guardiamo la nostra storia per trarre lezione di vita. La chiesa subì gravi danneggiamenti nei terremoti del 1905 e 1908. Ancora una volta la popolazione si unì intorno alla casa di DIO per restaurarla restituendogli la sua bellezza.

La storia della nostra chiesa sarà ampiamente trattata in una pagina appositamente dedicata.

Un avvenimento che è arrivato ai nostri giorni è l’apertura del cimitero comunale avvenuta alla fine del 1800. Prima i morti erano tumulati sotto la chiesa in una fossa comune alla quale si accedeva attraverso una botola. Il cadavere era portato in chiesa ed alla fine del rito funebre era calato nella fossa. A tal proposito veniva raccontata ai bambini una storia. Confesso di avere avuto sempre anch'io nel sentirla una maledetta paura.

Il fatto: muore una donna la quale come da usanza é sepolta nella fossa comune. Viene chiusa la botola e ognuno ritorna alle proprie attività. Evidentemente si tratta di un caso di morte apparente. Infatti all’imbrunire si sentono delle grida disperate della donna che chiama: “Nighiru Micu Nighiru Micu aprimi” (Nighiru Micu era il sacrestano tuttofare) il quale spaventato chiama il prete ed i capifamiglia e tutti insieme decidono di aprire la botola.

Il seguito del racconto si dirama in due versioni: una diceva che aprirono la botola dopo parecchi giorni quando erano sicuri che la donna fosse morta. La  trovarono con la “curuna” in testa perché nel tentativo di sollevare la botola essa aveva accatastato gli altri cadaveri. Però dietro la spinta che la sventurata esercitava sui resti dei morti, essi cedevano non consentendole di aprire l’uscita.

La seconda versione racconta che alle grida della donna aprirono la lapide. Ma per timore d’infezioni o paura dal ritorno dei morti la malcapitata invece di essere tratta in salvo fu uccisa a colpi di croce.

Questo periodo è contrassegnato da fatti e passioni che hanno gettato le basi verso la modernità del nostro paese permettendogli di affrontare la fine del millennio con una popolazione degna dei padri.

 

 

 

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